Con precedenti articoli che il lettore può trovare sulla nostra pagina abbiamo partecipato al dibattito dottrinario sulla applicabilità degli artt.1256 e 1258 c.c. (impossibilità della prestazione temporanea o assoluta), degli artt. 1464 e 1467 c.c. (riduzione della prestazione e risoluzione del contratto) ed in genere sull’applicazione dei principi generali del codice civile e delle normative eccezionali con riferimento alle ricadute, sulle locazioni commerciali, della Pandemia da COVID 19.

Finito il dibattito dottrinario e dopo il primo arresto giurisprudenziale del Tribunale di Venezia dello scorso aprile 2020 (si trattava di un caso comunque particolare, visto che il conduttore aveva subito prima il disastro dell’acqua alta, poi la Pandemia ) è ora però di parlare di “vita concreta”.

Come si stanno comportando i Tribunali, nell’ipotesi in cui il contratto di locazione commerciale entri in  crisi? Qual’è l’orientamento delle Corti di merito, nella ipotesi di uno sfratto per morosità di un negozio? Esistono delle linee guida?

Il Tribunale di Roma invita alla prudenza: innanzi ad uno sfratto per morosità, i Giudici in prima udienza stanno prima di tutto invitando le parti a trovare  un accordo.

Se una transazione non è possibile, ogni situazione viene valutata dal Giudicante “caso per caso” ma con molta prudenza: si analizza la storia contrattuale e si decide di conseguenza.

Ad esempio, davanti ad un contratto commerciale che è stato adempiuto regolarmente per anni, se la morosità ed il ritardo sono relativi esclusivamente al periodo dell’emergenza nazionale, è ragionevole ipotizzare che il Giudice non convaliderà lo sfratto, non concederà l’ordinanza di rilascio provvisoriamente esecutiva in corso di causa e disporrà il mutamento del rito per affrontare nel merito la questione del riequilibrio del rapporto sinallagmatico.

Nell’ipotesi invece di un conduttore che si presenti in udienza con una morosità maturata già  “ante covid” è facilmente immaginabile una posizione del giudice meno conciliante.

Ha fatto sicuramente rumore l’ordinanza del Tribunale di Roma, Sezione VI civile, del 27 agosto 2020; il Giudice dott.ssa Maria Pasqualina Grauso, in un procedimento ex art. 700 cpc, ha disposto “di autorità” la riduzione del canone di locazione di un ristorante  per un periodo temporale (da aprile 2020 e sino al marzo 2021) in percentuali diverse – prima il 40%  poi il 20% – rispetto a quanto pattuito in contratto.

Il Giudice ha così statuito a causa “della mancata ottemperanza della parte resistente (il locatore, ndr) ai doveri di contrattazione derivanti dai principi di buona fede e solidarietà.”

Il Giudice nella parte motiva dell’ordinanza decisoria fa riferimento “alla buona fede integrativa per riportare in equilibrio il contratto nei limiti dell’alea negoziale normale”, disponendo la riduzione del canone di locazione e la sospensione della fideiussione posta a garanzia dei relativi pagamenti. Richiamati in ordinanza anche gli ormai noti principi degli artt. 1256 c.c. e 1464 c.c.

Attenzione però: non convalidare lo sfratto, non significa “automaticamente” che il canone di locazione non sia dovuto. I tribunali d’Italia sembrano prevalentemente orientati a sottolineare che, se l’art. 91 del decreto “Cura Italia” introduce un principio di tolleranza nel ritardo del pagamento del debitore “causa covid”, lo stesso principio normativo non estingue però l’obbligazione.

Per molti giudici di merito il canone, comunque, va pagato. Così l’ordinanza del Giudice Corrias della VI sezione del Tribunale di Roma (9 settembre 2020) ha respinto un ricorso ex art. 700 cpc di un conduttore di una struttura alberghiera che lamentava l’impossibilità di pagare il canone a causa della Pandemia: secondo questo Giudice, non convalidare lo sfratto è un principio diverso da quello di ritenere non dovuti i canoni di locazione. Nessuna norma, nemmeno emergenziale, lo prevede. Nella stessa scia si pone anche la Sentenza del Tribunale di Alessandria, che ha escluso la riduzione del canone in quanto non concordata tra le parti.

La tendenza dei Tribunali d’Italia è quindi quella di un atteggiamento prudenziale ma che non perde di vista il quadro normativo vigente.

L’ordinanza “Grauso” è in linea con i principi indicati dalla Suprema Corte di Cassazione nella relazione tematica n. 56 dell’8 luglio 2020.

Rileva la relazione che in materia di contratti a prestazioni corrispettive “qualora il sinallagma contrattuale sia stravolto dalla pandemia”, la soluzione non può essere sempre quella della risoluzione contrattuale e la parte “avvantaggiata” non può trincerarsi in una torre a difesa della sua posizione.

Secondo la Cassazione i principi di buona fede (1366 c.c.), di conservazione del contratto (1367 c.c.), i principi di integrazione del contratto (1374 c.c.)  e di esecuzione secondo buona fede (1175 e 1375 c.c.) impongono, in una situazione eccezionale come quella che stiamo vivendo, che le parti si seggano ad un tavolo e cerchino, ove possibile, una soluzione ragionevole e finalizzata a salvaguardia del contratto in essere o al suo scioglimento, ma sempre nell’interesse comune.

Si faccia attenzione al principio: nella situazione imprevista ed imprevedibile (come può essere quella determinata dalla pandemia) le parti debbono provare seriamente a trovare un punto d’incontro per riequilibrare il contratto ma non sono obbligate a riuscire nell’intento.

Secondo la relazione tematica, qualora i contraenti falliscano nella trattativa, può intervenire il giudice, ai sensi dell’art. 2932 del c.c., con sentenza che, sostituendosi alla volontà delle parti, dia esecuzione al contratto, riequilibrandolo, tenuto conto delle mutate situazioni esterne.

Ovviamente il Giudice non potrà decidere sulla base di un metro casuale ma partendo sempre dal contratto in essere, cercando di applicare i medesimi principi utilizzati senza successo dalle parti.

La Cassazione insomma favorisce una interpretazione estensiva dell’art 2932 del codice civile e tale principio è stato ripreso dal Tribunale della VI sezione civile, nel provvedimento del G.U Grauso sopra richiamato.

L’obbligo di buona fede impone anche al conduttore di non strumentalizzare la situazione a suo vantaggio.  Non esiste,  si ribadisce, una norma “speciale” che autorizzi il conduttore a non pagare il canone o a non rispettare le proprie obbligazioni. Il suo comportamento, pertanto, verrà valutato dal Giudicante secondo i medesimi principi di buona fede e ragionevolezza imposti al locatore.

La parte debole di un contratto, molto spesso è infatti identificabile anche con il locatore proprietario dell’immobile che vede sparire la sua unica fonte di sostentamento,  a fronte peraltro di una significativa e sempre presente pressione fiscale.

L’invito, sia per il locatore che per il conduttore, è quindi quello di sedersi ad un tavolo con atteggiamento di buona volontà, attendendosi però, dall’altra parte, lo stesso spirito conciliativo.