Può essere dichiarato nulla la compravendita nella quale non vi sia piena rispondenza tra l’immobile oggetto del contratto ed il titolo urbanistico abilitativo richiamato in atto?

Così recita l’art. 46 del DPR 380/2001, n. 1: “Gli atti tra vivi, sia in forma pubblica, sia in forma privata, aventi per oggetto trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali, relativi ad edifici, o loro parti, la cui costruzione è iniziata dopo il 17 marzo 1985, sono nulli e non possono essere stipulati ove da essi non risultino, per dichiarazione dell’alienante, gli estremi del permesso di costruire o del permesso in sanatoria. Tali disposizioni non si applicano agli atti costitutivi, modificativi o estintivi di diritti reali di garanzia o di servitù.

In merito si è pronunciato recentemente il Tribunale di Lecce, con la sentenza del 6 novembre 2022. Lecce si pone nell’alveo già tracciato da diverse pronunce di Cassazione secondo le quali la nullità, comminata dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 46, e dalla L. n. 47 del 1985, artt. 17 e 40, è una nullità “testuale”,  cioè comminata dalla legge , ma proprio per questo non può essere interpretata in modo estensivo.

Le norme che sanciscono la nullità degli atti  e quindi  pongono limiti all’autonomia privata, debbono infatti ritenersi di “stretta interpretazione” e non possono essere quindi applicate a ipotesi diverse da quelle espressamente previste, utilizzando il criterio di interpretazione estensiva o analogica.

Secondo il Tribunale di Lecce l’art. 46 del DPR 380/2001 è volto a sanzionare la mancata inclusione degli estremi del titolo abilitativo negli atti dispositivi relativi agli immobili. Perché l’atto sia valido il titolo tuttavia deve esistere realmente e deve esser riferibile proprio a quell’immobile.  Il Tribunale conclude precisando che in presenza nell’atto della dichiarazione dell’alienante relativa agli estremi del titolo urbanistico, titolo che sia reale e riferibile all’immobile, il contratto è valido a prescindere dal profilo della conformità o della difformità della costruzione realizzata al titolo menzionato.

Nel caso trattato dal Tribunale di Lecce, si dibatteva della validità di un contratto di compravendita ove era citato, quale titolo urbanistico, esclusivamente il condono di una costruzione abusivamente realizzata nel 1982 e non la successiva sanatoria, in base alla quale erano stati realizzati dalla originaria costruzione quattro appartamenti, uno dei quali oggetto di causa.  Il problema quindi nasceva perché, successivamente alla concessione in sanatoria delle due abitazioni originarie, con ulteriore sanatoria erano state realizzate dalle prime due quattro abitazioni attraverso un frazionamento. La compravendita riguardava uno di questi quattro appartamenti ma, come detto,  nell’atto non era citato il titolo “finale” ma solo quello “originario” prima del frazionamento.

La compravendita quindi può essere considerata “salva”, purchè l’art. 46  del DPR 380/2001, n. 1 sia stato rispettato, almeno nella sua letterale enunciazione.

Non è però opportuno “distrarsi” in una compravendita immobiliare; sia il venditore che l’acquirente devono approfondire gli aspetti urbanistici per evitare di incorrere in poco gradevoli “code” giudiziarie.

Sebbene legittima la compravendita, le difformità del bene rispetto al titolo urbanistico possono comunque determinare difficolta nella sua circolazione commerciale o diverse altre problematiche, dalle quali possono scaturire comunque disagi per chi ha comprato e richieste risarcitorie per chi ha venduto.

Il consiglio è sempre quello di rivolgersi ad un Professionista  prima, per evitare di doverlo consultare poi, con costi e rischi maggiori.