Il trust è un istituto di origine anglosassone di antica tradizione; il suo alveo naturale è nei Paesi di “Common law” e cioè nei sistemi che hanno una formazione giuridica non derivata dal diritto romano, al quale invece si ispirano quelli di “Civil law”, come il nostro.

In Italia il trust non trova disciplina nel codice civile, ad eccezione di alcuni istituti (ad esempio quello indicato nell’art. 2645-ter ) che possono richiamare alcune fattispecie tipiche.

Le regole del funzionamento del trust in Italia sono contenute nella legge di ratifica della Convenzione dell’Aja  (legge n. 364 del 16 ottobre 1989, entrata in vigore il 1° gennaio 1992); per il resto è stata l’Agenzia delle Entrate che, con una serie di orientamenti e circolari, è entrata più volte nel merito dell’istituto, indicando linee operative importanti.

Per ultima, con la risposta ad interpello 796 del 1 dicembre 2021, Agenzia delle Entrate ha chiarito che il Trust, pur se validamente costituito sotto un profilo civilistico, è un soggetto “neutro” sotto il profilo fiscale, qualora il trustee non abbia una posizione di assoluta indipendenza gestionale o decisionale rispetto al disponente o ai beneficiari.

In tutte le ipotesi nelle quali, ad esempio il disponente o il beneficiario possano far cessare in qualsiasi momento il trust, oppure possano vincolare in qualche modo i poteri gestionali o dispositivi del trustee, lo stesso trust può essere considerato “inconsistente” sotto un profilo fiscale.

La conseguenza sarà che i redditi imputati al trust verranno riferiti direttamente al disponente e sottoposti a tassazione, secondo i principi generali riferibili ad ogni categoria reddituale di appartenenza.